“La mente in Bicicletta” – Il recupero da un infortunio passa anche dalla testa…

Pubblicato 10 Dicembre 2015 | Notizie varie

Lesioni ai legamenti o alle articolazioni, fratture degli arti, gravi danni ai muscoli, ma anche malattie infettve o croniche, burn-out (eccessivi sforzi ripetuti nel tempo), fino ad arrivare a patologie cardiache e altre problematiche che richiedono operazioni chirurgiche e lunghi periodi di stop dall’attività agonistica. Non è certamente un elenco molto allegro, ma nel mondo del ciclismo e dello sport in generale, è capitato a tutti di vivere in prima persona o di conoscere qualcuno che abbia subito almeno uno degli infortuni citati. E in questi casi, il primo pensiero va alla persona infortunata, al percorso di riabilitazione e alle tempistiche di rientro alle gare; spesso si tralascia l’aspetto psicologico che sta dietro questo processo e ci si dimentica di chi è accanto all’atleta, che a volte non sa come aiutarla. Da una parte, infatti, abbiamo un corridore che durante la riabilitazione sperimenta diverse emozioni contrastanti ma molto intense; dall’altra, abbiamo la famiglia, gli amici e la squadra, che a volte non si accorgono di quello che l’interessata sta passando o non sanno come comportarsi per sostenerla in un momento così difficile.

Vediamo quindi di fare una breve panoramica sulle reazioni emotive all’infortunio e di dare alcune indicazioni su come facilitare il percorso di recupero, sia dal punto di vista individuale, sia dal punto di vista relazionale. Innanzitutto, subito dopo il trauma fisico l’atleta può sperimentare diverse emozioni, che non sono uguali per tutte. Qualcuna prova rabbia, disperazione, senso di ingiustizia, shock; altre invece possono vivere l’infortunio come un sollievo: farsi male permette di prendersi una pausa da un programma di allenamento troppo intenso senza doversi giustificare, oppure lo stop forzato può essere visto come l’occasione giusta per lasciare il mondo dello sport. Nella maggior parte dei casi, comunque, la prima reazione emotiva è negativa; in effetti, questa situazione impedisce al corridore di fare quello che fa normalmente: allenarsi, gareggiare, incontrare le compagne, partecipare ai ritiri. Essendo che la vita quotidiana cambia radicalmente a causa dell’infortunio, arrabbiarsi potrebbe sembrare una reazione legittima e lo è, almeno in un primo momento. Il problema nasce dopo, nel caso in cui irritazione, dispiacere e autocommiserazione rimangano, perché queste emozioni non sono molto utili per rimettersi in forma, anzi, possono allungare i tempi di recupero o portare ad una non completa riabilitazione.

L’ideale sarebbe quindi accettare la situazione e iniziare una serie di sforzi positivi per recuperare. Accettazione che non significa rassegnazione, ma consapevolezza del tipo di infortunio e del percorso terapeutico (tempistiche, metodologia, specialisti coinvolti) che ci aspetta. Una volta chiarite le tappe del percorso, uno strumento valido per sostenere la motivazione a seguire il programma medico è il goal-setting, cioè la creazione di una “scala” di obiettivi da raggiungere durante la riabilitazione: prima alzare il braccio all’altezza della spalla, poi stendere completamente il braccio, poi fare una torsione del polso, ecc. Un altro aiuto è dato da un self-talk positivo, quindi i pensieri devono essere il più possibile ottimisti, seppur realistici: «È un periodo difficile, ma seguendo le indicazioni del medico potrò tornare a correre».

Fin qui abbiamo toccato alcuni aspetti individuali, ma anche chi sta intorno al corridore ha un ruolo importante nel recupero. Capita, ad esempio, che alcune atlete si sentano “dimenticate” dalla squadra, che torna a considerarle solo quando sono di nuovo in perfetta forma. Un atteggiamento che in realtà non fa bene né al corridore né alla squadra, perché spesso queste ragazze, proprio perché si sentono inutili “in panchina”, forzano i tempi per tornare a correre, rischiando di non essersi completamente riprese e aumentando così le probabilità di nuovi infortuni. È importante quindi non lasciare sola l’atleta e fornire un supporto costante, soprattutto da parte di compagne e DS, che possono aiutarla, ad esempio, motivandola ad aderire al programma terapeutico. Molto utile è anche il sostegno emotivo di amici e familiari: sapere che c’è qualcuno accanto a te durante un periodo difficile dà una spinta in più per superare le ricadute che a volte caratterizzano il periodo di riabilitazione.

Come abbiamo visto, il percorso per riprendersi da un infortunio è molto complesso e delicato e non riguarda solo il corridore e i medici, ma coinvolge anche molte delle persone con cui ha a che fare la ragazza. Infatti, anche se il lavoro più duro lo fa l’atleta, è grazie al sostegno delle persone per lei importanti che riesce a dare il meglio di sé per tornare alle corse. (Foto di Flaviano Ossola)

Nathalie Novembrini – Psicologa dello Sport
Web: www.smarthletes.com
E-mail: nathalie.novembrini@gmail.com

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