“La mente in Bicicletta” – Il “talento” delle diecimila ore

Pubblicato 21 Maggio 2015 | Notizie varie

Si sente spesso parlare di talento, di ragazzi “portati” per un certo sport, di atteggiamenti scritti nel nostro DNA. Ma siamo proprio sicuri che sia tutto deciso da caratteristiche innate, che non possiamo fare nulla per cambiare lo stato delle cose? Certamente la genetica ha un ruolo importante, ma nulla è immodificabile; se così fosse, gran parte delle cose che facciamo non avrebbe senso.

D’altra parte, ragionare per inclinazioni naturali può essere controproducente e innescare un processo chiamato “impotenza appresa”: più qualcuno mi dice che non posso fare qualcosa perché non sono portato, più finirò per crederci e non sarò capace di farlo. Non di rado chi è etichettato come talentuoso tende a sedersi sugli allori e a non dare il massimo, spesso attribuisce gli insuccessi a cause esterne a sé, salvaguardando la sua autostima, ma limitando i margini di crescita personale. Chi viene tacciato di scarsa propensione, al contrario, finisce per credere che i successi siano frutto del caso (o comunque di eventi esterni) e che gli insuccessi derivino da mancanza di doti innate. In entrambi i casi si tratta di cause apparentemente immutabili, che il corridore può fare poco o nulla per modificare, quindi tanto vale rassegnarsi ad un destino già scritto. Chi ha “un talento naturale”, poi, solitamente viene più seguita anche da ds e allenatori, perché percepita come più capace e quindi su cui vale la pena concentrarsi. Vengono sottolineate le cose che fa bene, riceve molti apprezzamenti, raramente critiche, viene incoraggiata quando non ottiene i risultati sperati, magari sostenendo la tesi per cui sono altre persone o situazioni esterne che hanno causato la sconfitta. La ragazza “poco portata”, invece, spesso è poco seguita a livello tecnico, non le si richiede una prestazione superiore ma comunque alla sua portata, non viene aiutata a correggere gli errori e a migliorarsi, se ottiene un risultato positivo è solo frutto del caso o degli errori delle avversarie. Se queste due ragazze si abituano fin da giovani a essere trattate in modo completamene opposto,  una si convincerà di essere brava a prescindere, l’altra di non essere in grado di ottenere nulla di positivo nello sport. Ora, quale delle due avrà maggiori probabilità di proseguire la carriera agonistica e magari di vincere effettivamente qualche gara? Forse nessuna delle due.

Ecco che diventa importante spostare il punto di vista dalle doti innate all’impegno. La storia dello sport è ricca di esempi di atleti che fisicamente (geneticamente) non avevano le caratteristiche per riuscire nella propria disciplina, eppure alcuni sono riusciti addirittura a stabilire dei record mondiali. La chiave è credere nelle proprie potenzialità e lavorare duro per raggiungerle. In una ricerca è stato chiesto ad alcuni esperti di selezionare chi secondo loro era più dotato in un certo ambito; le persone scelte si sono rivelate essere quelle che avevano alle spalle più ore di esercizio, nella fattispecie almeno diecimila ore di pratica intenzionale. La parola “intenzionale” qui è fondamentale, perché significa che non è l’allenamento di per sé che fa la differenza, ma come l’allenamento viene fatto. Generalmente si tende a farlo in modo meccanico, a ripetere le cose che già si sanno fare; invece la pratica intenzionale consiste nell’esercitarsi deliberatamente e con impegno sulle aree in cui si è più carenti. D’altra parte allenarsi serve per migliorare i propri punti deboli, provare situazioni che potrebbero verificarsi in gara, ragionare su cosa si potrebbe fare meglio la prossima volta.

Questo discorso può sembrare valido solo per il settore giovanile, ma anche nello sport di élite capitano casi di atleti sopravvalutati o che non sfruttano appieno le proprie caratteristiche. Atleti che poi finiscono per ottenere risultati altalenanti o abbandonano la carriera sportiva, demotivati, delusi e deludenti. Focalizzare l’attenzione sull’impegno, anziché su doti innate, serve per stimolare la crescita del corridore ed è la base per lavorare sulla motivazione. Ricordiamoci che avere talento non basta per raggiungere il massimo delle proprie potenzialità, ma servono dedizione, costanza e passione.

Nathalie Novembrini – Psicologa dello Sport
Web: www.smarthletes.com
E-mail: nathalie.novembrini@gmail.com

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